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 I Bengals del mese

Bengals del mese è la rubrica che vi tiene compagnia fino al termine della stagione 2016-201, offrendovi informazioni e curiosità. La rubrica dà voce a tutte quelle persone che – pur non avendo visibilità – sono importanti per il buon funzionamento di una società sportiva.  Ogni mese incontriamo dirigenti, staff, ex atleti,  ex coach, e perché no? anche tifosi - per conoscere più da vicino l’universo dei Bengals Brescia. Spieghiamo la cosa con una metafora: se la squadra è la Stella del sistema solare e quindi brilla di luce propria, gli organi della società sono i pianeti che orbitano intorno alla propria stella.  Perciò con questa rubrica esploriamo i vari pianeti. Chiaro, no? Buona lettura !!!

Bengals di Luglio: il fotografo

Tutti coloro che amano lo sport, perché lo praticano o lo seguono, hanno impressa nella memoria un’immagine di un evento sportivo. Spesso l’immagine proviene da una fotografia e questa  istantanea ci rimanda ad un ricordo speciale, un momento epico ed indelebile. Chi non ricorda l’urlo di Paolo Rossi nel 1982, le lacrime di Ronaldo nel 2002, la gioia esplosiva di Bebe Vio nel 2016? Per sua natura quindi una fotografia ben fatta può esprimere ogni concetto e valere più delle parole. Siete d’accordo?

L’ottava puntata del Bengals del mese è dedicata ad un uomo di poche parole e molti scatti, ossia il fotografo della squadra. Ci scusiamo con i nostri insaziabili lettori per il ritardo nella pubblicazione, ma dovete sapere che Stefano Nicoli, oltre ad essere fotografo è anche un viaggiatore provetto ed è appena rientrato da un viaggio nei paesi scandinavi.

 

P: Ciao Stefano: allora sei fotografo per passione o per professione?

S: Uso una famosa massima per rispondere: “scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. E' nata come una passione, ora è anche un lavoro, con tutti gli obblighi e le soddisfazioni che derivano. 

P: Come è nata la vocazione per la fotografia?

S: Sono sempre stato appassionato di fotografia, specialmente sportiva. Ho iniziato osservando e leggendo dei fotografi di football americano e surf. La mia ragazza, già fotografa, mi ha spronato a provare sul campo quello che per molto tempo avevo solo letto sulle riviste. 

 

P: Descrivici il tuo lavoro pre e post partita: ti vediamo sempre impegnato con obiettivi e strumenti. Spiegaci.

S: Prima della partita faccio un check sullo stato dell'attrezzatura: mi accerto di avere batterie e schede di memoria di scorta. Poi cerco informazioni sulla squadra avversaria, magari leggendo le statistiche per capire che tipo di gioco mi posso aspettare. Nel caso non stia fotografando un partita dei Bengals (e non di football), mi informo il più possibile sulle due squadre (statistiche, classifiche), chi sono i giocatori più carismatici, se ci sono delle rivalità particolari a livello di squadra oppure anche tra giocatori. Sono elementi che possono aiutarmi ad anticipare gli eventi in campo.  Consulto anche il meteo perché in caso di pioggia devo preparare le componenti per riparare l'attrezzatura dalle intemperie. Nel post partita procedo con la scelta degli scatti e li post produco. Non sono un grande amante del fotoritocco: credo che snatura l'impianto del reportage che invece io amo dare ai servizi; pertanto, mi limito ad alcune lievi correzioni solo per esaltare i dettagli dell'immagine. Infine, archivio tutto in varie cartelle per poter recuperare facilmente gli scatti qualora servissero in un’altra occasione.

 

P: Che macchina usi?

S: Per le azioni Canon 5D Mark III (obiettivo 300mm fisso, preferibilmente, o un 70-200mm), mentre per i ritratti all'inizio e alla fine degli incontri Canon 7d (obiettivo 24-70mm o 10-22mm)

 

P: La fotografia più bella che hai fatto?

S: Sono particolarmente legato a questo scatto nel mondo Bengals.

 

Si trattava della mia prima partita in casa della squadra Senior, stagione 2015. Fotografare un touchdown è sempre emozionante, questo è stato uno dei primi ed è stata un'ottima iniezione di fiducia.

 

Per altri generi di foto, scelgo lo scatto di un giovane surfista che ho ritratto l'estate scorsa nei Paesi Baschi. Questo ragazzino era veramente bravo, ha passato molte ore tra le onde. Di questa immagine mi piace tantissimo l'effetto che crea l'acqua, sembra quasi cristallo, e la posa plastica del surfer.

P: Quando segui un’azione con l’obiettivo, hai già la premonizione di cosa sta per accadere?

S: Potrebbe sembrare che fare fotografia sportiva sia semplice e che si basi molto sulla fortuna: ti metti a bordo campo e scatti a raffica, prima o poi riuscirai a cogliere l'azione. Tuttavia non è così! E’ necessario conoscere quantomeno i rudimenti della disciplina che si sta fotografando per anticipare il più possibile l'azione. Nel caso specifico, sono un grande appassionato di football americano e ne mastico alcune regolare fondamentali; ciò mi aiuta a cercare la posizione ottimale nel campo.

 

P: La fotografia più bella del campionato Bengals 2017 e perché? 


S: Due scatti della stessa partita, quella in casa contro gli Hammers. Sembrava vinta dopo il primo quarto, ma gli avversari non stati dello stesso avviso. Questi due scatti fanno riferimento al drive del sorpasso e vittoria. Il primo è un trick play, un lancio effettuato da Viviani che di solito è ricevitore: mi piace com'è costruita l'immagine: il salto della difesa avversaria, lo sforzo di Viviani… sono contento di essere riuscito a seguire un'azione dallo sviluppo tutt'altro che lineare.  La seconda rappresenta l'esultanza dopo il TD del sorpasso. Mi piace la grinta di Podavitte che ha segnato; anche in questo caso la costruzione dell'immagine è bella: c’è il ref che indica il TD e il giocatore avversario a terra.

 

 

Le reazioni dei giocatori sono una delle parti più soddisfacenti da scattare. Non bisogna mai fermarsi alla segnatura: il meglio, spesso, arriva dopo.

 

P: Quali progetti hai per il futuro?  

S: Fare tante foto e continuare a divertirmi dietro all'obiettivo, imparando il più possibile e cercando di migliorarmi costantemente. Il mio modello è Chris Burkard, un fotografo californiano che, pur giovanissimo e autodidatta, è diventato un punto di riferimento per gli appassionati del settore. Riuscire a seguire anche solo una minima parte della sua carriera sarebbe un successo incredibile. 

 

Con questa appassionata testimonianza di Stefano termina la rubrica Bengals del mese. Abbiamo pubblicato otto uscite, parlando di e con persone diverse per mestiere, ruolo, provenienza, storia personale. Nonostante le loro diversità abbiamo trovato in tutti loro un valore che le accomuna e che le rende speciali: la passione per ciò che fanno a favore dei Bengals.  Go Bengals!

I Bengals di Giugno: i tifosi.

A giugno è tempo di bilanci: le aziende pubblicano i dati finanziari dell’anno precedente; le società sportive tracciano il resoconto della stagione trascorsa e programmano gli investimenti per quella successiva; i lavoratori fanno un bilancino per decidere le ferie, le ragazze fanno il bilancio del proprio vestiario e si preparano per i saldi estivi …

A giugno insomma, di sport se ne parla e se ne vede meno rispetto il resto dell’anno (eccezion fatta per quei pochissimi sport che vengono praticati nei mesi estivi).

Per un tifoso di football americano, la stagione estiva è quella dell’agonia…come le antilopi nella savana attendono con impazienza la stagione delle piogge per dissetarsi e trovare cibo, così è per gli appassionati di football che attendono la nuova stagione. Aspettano impazienti e vivono in un  limbo tra  ricordi del  recente passato e speranze per il futuro; il campionato italiano FIDAF è appena terminato, quello della NFL è ancora troppo lontano.

Per tenere un pochino impegnati i tifosi dei Bengals che seguono la squadra sempre e ovunque, la settimana puntata della rubrica Bengals del mese è dedicata alle tigri delle tribune. I tifosi!

Tifosi, seguaci, appassionati, curiosi… praticamente è impossibile descrivere tutti gli spettatori! Però frequentando le tribune del Chico Nova si conoscono molte persone che per motivi diversi seguono le vicende dei blu-argento. Ecco una breve classificazione.

  1. Gli ex giocatori: riconoscibili dai fisici imponenti e muscolosi, in genere fanno gruppo con altri ex giocatori e seguono in piedi la partita. E’ un gruppo di tifosi omogeneo e affiatato dagli anni di comune pratica sportiva.  La loro caratteristica è di commentare con ironia ciò che vedono in campo: una chiamata arbitrale, una bella giocata, un errore di un giocatore. Guasconi, pungenti, competenti.

  2. I parenti: categoria multiforme all’interno della quale si profila l’intera discendenza parentale: fratelli, sorelle, genitori, cognati, nuore, generi, suocere, cugini, nonni, fidanzate, mogli... tralascio per motivi di spazio le nuove tipologie di famiglia, le coppie arcobaleno e temporale, etc (ma sono sicuro che ci sono pure  loro). Seguono le azioni dei propri cari con impegno e costanza, a volte un pochino di ansia… Comunque vedere la propria famiglia in tribuna è sempre uno stimolo per un giocatore. Simpatici, allegri, divertenti.

  3. Gli appassionati di football: sono i tifosi che sventolano le bandiere, portano striscioni, incoraggiano a gran voce i giocatori; seguono tutte le trasferte dei Bengals. Danno voce e suono alle tribune portando vuvuzelas, tamburi e corni a fiato. Spontanei, gioiosi, rumorosi. Tra di loro si distingue un onnipresente gruppetto della bassa bresciana.

  4. Gli amici: chi trova un amico trova un tesoro… e a volte trova anche l’ingresso gratuito per un game dei Bengals Brescia. Seguono con interesse la partita, sforzandosi di capire le regole del gioco e chiedendosi quando mai finirà l’incontro. Pazienti, costanti, silenziosi.

  5. I coach mancati: siedono isolati e commentano a bassa voce quanto vedono in campo; a volte tentano di decifrare le scelte del tecnico o contestano garbatamente una chiamata arbitrale. Riservati, educati, entusiasti.

  6. I debuttanti: motivi oscuri hanno messo il football americano nelle loro vite… e ne sono rimasti affascinati. Siccome ci vogliono vedere chiaro, allora seguono le partite, il web, i social e tutto il resto per capire il gioco e gli schemi. Tempestano di domande il povero malcapitato vicino di turno. Loquaci, curiosi, studiosi.  Ai debuttati diamo un consiglio: iscrivetevi in squadra, giocherete nei Bengals e imparerete tutto!

 

A   dimostrazione di quanto i tifosi sostengono i Bengals, condividiamo con Voi una bella mail che abbiamo ricevuto al termine della regular season. Il mittente è un nostro tifoso. Grazie  Antonio!

Cari players dei Bengals Brescia, mi permetto di chiamarvi players, all’americana, perché la  parola mi sembra più professionale per rivolgermi a Voi. Riconosco che il campionato Fidaf non ha lo stesso spessore del campionato a stelle e strisce, tipo College Football e NFL, ma per me siete Voi i professionisti di questo bellissimo sport in Italia.

Sono uno dei tanti tifosi che vi seguono con calore e affetto, in casa e fuori, con il freddo e con il caldo, d’inverno e d’estate. E vi voglio dire GRAZIE! Grazie per quello che mostrate in campo. Grazie per l’esempio che date a noi tifosi e ai nostri giovani. Grazie per l’abnegazione, la determinazione, la passione che mettete nelle vostre gesta sportive.

Ho sempre pensato che lo sport prepara alla Vita: tra tanti sports solo il football educa veramente ad affrontare la Vita. E voi ne siete la dimostrazione.

Vi ho visto andare in svantaggio e vi ho visto risorgere. Vi ho visto messi alle corde e ne siete usciti. Vi ho visto cadere e rialzarvi. Vi ho visto mantenere il cuore caldo e la mete fredda anche in momenti di svantaggio a pochi secondi dal termine… ed alla  fine  vi ho visto vincere. Vi ho visto cadere cento volte ma anche rialzarvi centouno volte.

Come il Football, così è la Vita. La Vita ci mette alla prova con le difficoltà, le condizioni di svantaggio, le cadute… eppure bisogna affrontarla. Bisogna superare le difficoltà, vincere le proprie paure, cadere e trovare le forze per rialzarsi. A volte ci si rialza da soli, a volte è un compagno di squadra che tende una mano e ci aiuta.

Così è la Vita e così è il Football.

Se fossi giovane, sabato prossimo scenderei in campo insieme a Voi. Ma purtroppo non mi è possibile, l’età e la salute mi mettono da parte. Ma se potessi scendere in campo con voi anche per una sola volta… ecco… mi stringerò nell’huddle e guarderò i vostri occhi.  E ci vedrò un uomo determinato a dare il massimo, a vincere la partita… vincere non solo per sé, ma anche per il compagno di squadra affianco, per il vostro fratello, per il vostro pubblico.

Sabato sera affronterete i Gladiatori nel primo turno: dicono che sarà la partita “Go big or go home!”.

Che partita sarà per i Bengals?  Io ho già un’idea.

Penso che sabato giocherete la Vostra grande partita, la vera finale, la partita che terrà viva la fiamma del presente. I Bengals vivono infatti nel presente e devono compiere un passo alla volta per rendere concreto il proprio destino.

Il vostro destino infatti non è Vicenza o la prossima stagione o quella dopo ancora. Il vostro futuro è il prossimo avversario. E basta. Ma d’altronde che cosa è Vicenza? E’ una partita immaginata in un futuro astratto e lontano. Voi invece giocate per il presente. Un passo alla volta, una partita alla volta.

Prima della partita, nello spogliatoio, vorrei che ricordate il percorso che avete fatto per arrivare fin qui. Pensate agli allenamenti, alle avversità atmosferiche, alle partite, agli avversari, ai sacrifici e alle rinunce; alla sofferenze subite, ai lividi grossi come meloni, agli infortuni dei vostri compagni, ai permessi dal lavoro e alle notti passate a studiare per gli esami tra un allenamento e l’altro.

Pensate a quante ore trascorse ad allenarvi in palestra o sul campo.

Perché lo avete fatto?

Ognuno di voi ha la risposta nel proprio cuore.

Molte imprese straordinarie sono figlie di un desiderio, un’idea, una motivazione inarrestabile per arrivare in vetta o raggiungere l’obiettivo.  Io credo in voi e nelle vostre potenzialità!  Per questo motivo, Vi chiedo di pensare solo alla prossima partita, al vostro unico futuro.

Un passo alla volta, una partita alla volta, una finale alla volta. E’ così che si arriva in cima.

GO BENGALS !!!!!

I Bengals di Maggio: la practice  team.

La puntata di maggio non è dedicata ad una singola persona, ma ad un gruppo di persone che lavorano con e per la Squadra. Perciò useremo il plurale per parlare di tutti coloro che meritano la menzione di essere i Bengals del mese.

Avete mai sentito parlare di practice team? Si tratta di un gruppo di giocatori che partecipano regolarmente agli allenamenti settimanali ma che (per vari motivi) non sono nel roster per le partite ufficiali. Per capirsi: sudano e faticano come tutti quanti durante le sessioni di training ma purtroppo non hanno la soddisfazione di indossare la maglia dei Bengals in occasione del match. Nella practice team dei Bengals troviamo giocatori reduci da infortuni e in riabilitazione, giocatori con poca esperienza, giocatori fuori forma atletica e perfino giocatori stoppati da motivi burocratici.

E’ normale che tra practice team e Squadra si sviluppi una stretta collaborazione; il rapporto è di tipo “win-win” visto che entrambe ottengono benefici. Il beneficio per la practice team è di avere tempo per allenarsi senza subire la pressione psicologica della prossima partita; per la Squadra il beneficio è di avere atleti pronti e disponibili a fare scrimmage.

Non essendo possibile presentarvi tutti i membri  della practice team, vi parliamo di due casi a nostro avviso significativi.

Rafael Raul Ciolos è un ragazzo del ’99 ed è arrivato nella U19 dei Bengals a novembre 2016. Ha giocato due partite del campionato giovanile, nella posizione di Defensive End.  Rafael ama il football perché è uno sport di squadra e perché ha tutto: fisicità, tecnica, tattica, strategia.

P: Cosa ti piace del tuo ruolo?

R: Il contatto fisico, il confronto con l’avversario. Mi piace il lavoro collettivo che abbiamo noi della linea, l’unità del reparto. Il nostro obiettivo è non far avanzare l’avversario, proteggere il territorio… e saccare velocemente il QB.

P: Perché sei nella practice team?

R: Sono nella practice team perché voglio migliorarmi, capire il football e imparare nuove cose.  Sono arrivato nei Bengals quando il campionato era quasi finito, non ho potuto allenarmi molto. A gennaio ho chiesto ai coaches di allenarmi di più per poter colmare la poca esperienza; loro hanno accettato e mi hanno inserito nella practice team. In questi 4 mesi di allenamenti ho imparato le tecniche di presa dell’avversario, il lavoro delle mani e delle braccia, l’utilizzo delle gambe per “ancorarsi” al terreno… e tante altre cose.  Mi sento un giocatore migliore rispetto prima. Mi trovo bene qui, l’esperienza è positiva.

P: Quale esercizio ti piace di più negli allenamenti?

R: Preferisco gli esercizi di forza e di tecnica, i placcaggi. Negli allenamenti quando c’è lo scrimmage tra le linee di attacco e di difesa mi sembra di giocare una vera partita. Perciò mi impegno e ci dò dentro. Sono contento che le spiegazioni mi vengono date dai coaches, ma anche dai giocatori seniors: hanno molta pazienza e sono bravi.

P: Progetti futuri per la tua partecipazione nella U 19?

R: Adesso devo pensare a lavorare e migliorare. L’anno prossimo spero di trasferire in U 19 quanto ho imparato nella practice team.

Adrien Mule Gentiluomo, francese, ha 28 anni ed è in Italia per motivi di lavoro. Nel 2014 ha iniziato a giocare a football con i Vigo Guardians  durante l’Erasums in Spagna. Tornato in Francia ha trovato spazio nei Vikings di Villeneuve d’Ascq a Lilla. In entrambe le squadre ha giocato Cornerback. Parlando delle sue esperienze, è emerso che i Vikings di Lilla sono la squadra di football più antica nel Nord della Francia e che la società è talmente strutturata da partecipare contemporaneamente a due campionati. Inoltre Adrien ha giocato sia a flag che a tackle football, in formazioni 8 vs 8 ( in Galizia) e 11 vs 11 ( in Francia).

P: Perché ti piace il football?

A: Per me il football è uno sport, uno stile di vita, un tipo di divertimento. E’ uno sport che crea il carattere di una persona e fa nascere solide amicizie; fornisce una certa identità all’individuo che è all’interno del gruppo. E’ uno stile di vita perché chi sta nel football si allena, cura l’alimentazione, va in palestra, persegue  il benessere psico-fisico. Infine è anche divertimento perché è bello giocare a football.

P: Perché sei nella practice team?

A: Quando sono arrivato in Italia, ho cercato una squadra di football e perciò mi sono iscritto nei Bengals Brescia. Ho iniziato ad allenarmi con la squadra in attesa che il mio tesseramento si perfezionasse. Purtroppo non è stato così! Le regole di tesseramento italiane sono rigide e non permettono a giocatori “di scuola non italiana” di venire iscritti nel campionato Fidaf. Io ho giocato senza problemi in Spagna e Francia, ma in Italia sono considerato “di scuola non italiana” e quindi non posso disputare partite ufficiali.  La notizia della mia esclusione dalla Squadra è stata difficile da accettare; però ho apprezzato che i coaches e i compagni mi hanno mostrato il proprio rammarico. Nel momento di sconforto, loro mi sono stati vicini. Tra me e me è così nata l’idea di portare a termine l’impegno preso con i Bengals: non posso partecipare al campionato? Pazienza! Vorrà dire che mi impegnerò nella practice team.

P: Quanta forza serve per partecipare a tutti gli allenamenti pur sapendo di non poter giocare una partita?

A: Serve molta determinazione, e tanta buona volontà. Per me è anche una prova caratteriale: ho preso un impegno con i Bengals e lo porto a termine.

P: Come sta andando la tua esperienza con i Bengals?

A: L’esperienza è positiva! Qui ho trovato un alto livello tecnico-tattico e sto imparando molto. Mi sento un giocatore più completo rispetto l’anno scorso perchè ho avuto molti consigli dai coaches e dalla Squadra. Ho corretto alcuni miei errori, fatto progressi. Da 6 mesi sono nei Bengals… in questo tempo ho fatto nuove amicizie e mi sento membro della Squadra.

P: Progetti per il futuro?

A: Lavoro come insegnante in una scuola, mi piace il football. Vorrei unire le due cose! In futuro mi piacerebbe diventare un allenatore di football: vorrei trasmettere ai giovani la mia passione per questo sport. In Francia ho fatto una breve esperienza di insegnamento del flag a giovani ragazzi con problemi di salute. E’ stata una bella esperienza!

Eccoci alla fine: Rafael e Adrien sono nella practice team per motivi diversi, il primo per migliorarsi come giocatore mentre il secondo per ostacoli burocratici. Abbiamo parlato di loro due, pur sapendo che NON sono gli unici membri della practice team. Ce ne sono altri come loro e non è necessario fare i nomi. Voi sapete chi siete, sapete quanto è importante il vostro lavoro di supporto alla Squadra. Grazie!   

GO BENGALS!

 

Bengals di Aprile: l'ex giocatore.

 

Per presentare il Bengals del mese è necessaria una premessa e mi scuso per i termini del confronto. Non so se ci avete fatto caso, ma a volte lo sport estrae dagli atleti la loro parte migliore, sia dentro che fuori dal terreno di gioco.  Durante la carriera sportiva, essi incarnano il giocatore che si spende per la squadra, che crede in essa e che le dà tutto. Tali atleti rappresentano il modello, l’eccellenza, l’esempio da imitare. Anche per loro, però, arriva il momento di ritirarsi dall’attività agonistica. E lo fanno. Ma restano per sempre legati a quella squadra, alla società e allo sport che hanno praticato. A volte diventano managers, a volte dirigenti, alcuni studiano da allenatori… di esempi ce ne sono molti: nel calcio Zanetti e Ancellotti, nel basket Mike D’Antoni e Recalcati, nel volley Velasco, Jim Harbaugh, Jerry Jones nel nostro sport.

La lista è lunga, ma non è questo il posto.  Piuttosto volgendo lo sguardo al nostro piccolo mondo e al football nostrano, posso affermare con certezza che anche nelle fila dei Bengals Brescia ci sono uomini che in passato hanno vissuto un percorso sportivo importante e che oggi sostengono i Bengals in varie forme e a vario titolo. Uno di questi è Sergio Fausto, detto Badia, alias Mac Gyver. Il Bengals del mese è dedicato a lui, senza però dimenticare tutti coloro che - lontano dai riflettori - fanno e danno tantissimo per i Bengals Brescia.

 

P: Ciao Sergio, iniziamo dal tuo “record” di giocatore di football. Spiega che tipo di record hai raggiunto e come ci sei riuscito.

S: Ciao! Il record è stato quello di essere “l’esordiente più adulto” di tutto il movimento sportivo. Sono diventato giocatore di football americano all’età di 44 anni, nelle file dei Bengals Brescia, dove ho giocato per 4 anni tra il 2006 e il 2010. Ricoprivo il ruolo di Nose Guard, Defensive End. Numero 99.

P: Cosa ti ha spinto a diventare giocatore a 44 anni? Quali motivazioni ti hanno aiutato nei momenti difficili?

S: Prima di indossare casco e paraspalle, sono stato un collaboratore esterno dei Bengals Brescia all’epoca in cui i Bengals si allenavano al centro sportivo Badia. Di fatto la mia scelta di giocare non è stata un colpo di testa, ma è stata una scelta ragionata. I miei fratelli avevano giocato con gli Steel-Tigers di Cremona negli anni ’80 e quindi non ero proprio estraneo al football.

Ho conosciuto i Bengals quando si allenavano al centro sportivo Badia. Guardando gli allenamenti ogni giorno, seguendo anche le partite come tifoso, è stato logico che mi venisse voglia di giocare. Anche il fattore umano ha avuto un peso: conoscevo Virgilio e altri ragazzi, conoscevo l’ambiente, insomma il passaggio da collaboratore a giocatore è stato breve. Ma non è stato facile. Infatti quando ho spiegato alla società il desiderio di giocare, alcuni pensavano che stessi scherzando, altri  mi sconsigliavano di farlo. E’ stato un percorso difficile e pieno di sacrifici. Ad esempio: all’epoca ero un fumatore accanito… ho smesso di fumare e ho iniziato ad allenarmi. Ero fuori forma e mi sono messo a dieta.

Il primo allenatore è stato Gerardo Vera Gomez, mi ha dato molti consigli. Mi sono allenato per 12 mesi, con ritmi alti: 3 giorni di allenamento fisico e 2 giorni di teoria. Dopo un anno di dieta e allenamenti, il coach decise di convocarmi per la prima partita.

P: Che emozioni hai provato al debutto? Che ricordi hai della prima partita?

S: Della prima partita ho un ricordo vivissimo! La sensazione più intensa è stata nel prepartita. E’ successo nello spogliatoio, mentre mi preparavo. Stavo facendo meditazione, pensavo alle indicazioni del coach, seguivo i miei rituali del pregara… ed ZAC! All’improvviso mi è venuta in mente la mia famiglia, ho avvertito la loro vicinanza… le parole di mia moglie... ho compreso in quell’istante che se ero arrivato a realizzare il mio desiderio, era anche per merito loro! Una volta sceso in campo, ero adrenalina pura, pronto a scattare ad ogni snap! Vincemmo la partita e nel bel mezzo dei saluti con gli avversari iniziai a ridere e piangere, quante emozioni intense!

P: A parte questo, quale è stato il ricordo più bello?

S: La vittoria contro gli Scorpions Varese nella semifinale del 2009. Erano la nostra bestia nera.

P: Come hai gestito la tua “anzianità” all’interno della squadra?

S: Il fatto di essere il giocatore più vecchio ma con meno esperienza mi ha spinto dare il massimo. Volevo dimostrare di farcela, di non essere un peso per i Bengals. Pertanto l’età non è stata un motivo per tollerare le mie lacune, ma uno stimolo per allenarmi al meglio ed essere un esempio per i giovani giocatori, per i dirigenti, per i compagni di reparto.

P: Hai vissuto il football da giocatore e ora da dirigente. Cosa è stato allora e che cosa è ora il football?

S: Per me il football è moltissimo. Non dico tutto, perché tutto è solo la mia famiglia. E’ uno sport che chiede tanto, ma ridà tanto. Richiede tempo, sacrifici, risorse economiche, lacrime, dolore… ma ti ripaga con emozioni intense, amicizie solide, passioni, consapevolezza di se stessi e del proprio valore. Nel football l’individuo trova la propria identità e la propria collocazione nel gruppo. Il football è questo.  Paradossalmente è lo sport più bello che ci sia, ma in Italia è considerato uno sport minore.

E’ un torto che viene fatto a tutti coloro che lo praticano, lo amano, lo seguono.

P: Ci sono differenze tra i Bengals di oggi e i tuoi Bengals di allora?

S: Sicuramente ci sono delle differenze!  La squadra di 10 anni fa era molto grossa, giocava un football fisico e tattico. Gli allenamenti non erano mirati e curati come ora. Ad esempio lo stretching: lo facevamo anche noi, ma in modo approssimativo. Usavamo poco la tecnologia, non perché non ci fosse, anzi! ma perché non ne capivamo il contributo. I caschi… ne ho da dire! Le imbottiture erano di plastica dura, poi si ammorbidivano con il calore/sudore del corpo. Invece i caschi moderni sono un mix di gomma e plastiche.

P: Hai lavorato nei Bengals durante la presidenza di Virgilio. Che dirigente era?

S: Virgilio è sempre stato vicino alla società e alla squadra. Per molti di noi è stato un esempio da seguire; aveva progetti in anticipo rispetto i tempi, idee geniali. Con il tempo ha saputo creare un’identità definita dei Bengals, raccogliendo consensi. Forse ha seminato molto più di quanto abbia raccolto, ma Virgilio era così: genereso, vicino alle persone, umano. Quando è venuto meno, i giornali locali lo hanno definito: “Il presidente gentiluomo”. Penso che definizione  migliore non ci sia.

P: Riassumendo: sei stato collaboratore, dirigente, giocatore. Di cosa ti occupi adesso?

S: Queste esperienze mi permettono di capire le esigenze della squadra e quelle della società. E metto al loro servizio le mie capacità: la manualità, l’ingegnosità, la creatività, la pazienza. Curo il sito web, gestisco rapporti con fornitori, tengo la contabilità, seguo la logistica, aiuto i rookies ad ambientarsi… faccio tante cose, ma non sono solo! Per fortuna siamo un team di persone affiatate e tutti diamo un contributo. Abbiamo un obiettivo e siamo motivati. Crediamo che i Bengals torneranno a cucirsi il tricolore sulla jersey! GO BENGALS

Sergio è un bell’esempio di come lo sport possa estrarre il meglio da noi stessi… e la nostra parte migliore è necessaria per vincere una gara sportiva, così come per affrontare le sfide che la vita presenta tutti i giorni.

Bengals di Marzo: Il veterano

L’uomo giusto, nel posto giusto, nel momento giusto. Con queste parole si potrebbe riassumere l’incredibile parabola sportiva di un giocatore che ha iniziato a giocare a football nella primavera del 1986 e non ha ancora smesso. Domenica dopo domenica, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Siamo nel 2017, sono trascorsi trentuno anni dal suo lontano esordio, ma lui è ancora lì sul campo ad allenarsi. Stiamo parlando di Davide Orfeo, linebacker dei Bengals Brescia, classe 1970 per chiarire le cose.

L’uomo giusto. Tra i primi fondatori-giocatori dei Bengals Brescia negli Anni ‘80 compare un cognome che resterà a lungo negli annali sportivi dei Bengals. E’ quello di Orfeo. Ma si tratta di Diego Orfeo e gioca come QB negli Steel Tigers Cremona. Siccome ogni QB ha sempre bisogno di qualcuno con cui allenarsi e a cui passare la palla, Diego pensa bene di arruolare i fratellini Daniele e Davide come ricevitori. Con un po’ di fantasia e di spazio, il giardino di casa si trasforma in un campo da football e i tre fratelli – giocando insieme – iniziano a sviluppare quella che diventerà l’alchimia perfetta tra QB-WR sui veri campi da gioco. Sul finire degli anni ’80 Davide diventa giocatore di football a tutti gli effetti; dopo una breve parentesi con i Lions Bergamo, Davide indossa definitivamente la maglia blu-argento e si accasa a Brescia.

Nel posto giusto. A Brescia, Davide trova un coach che valuta i giocatori non solo per la prestanza fisica, ma anche per l’indole caratteriale. Coach Cereda trova in Davide un’indole competitiva e dinamica, una carica agonistica forte. Ritiene che il giocatore possa dare il meglio giocando in difesa come Safety e sfruttare la propria velocità come Punt returner e Kick returner. Davide inizia a giocare in difesa, ricoprendo le 3 posizioni.

Nel momento giusto. Gli anni ’90 sono anni importanti per lo sviluppo del football bresciano e Davide è inserito nella prima squadra insieme ai fratelli Diego e Daniele. Dal primo successo di Arena Football nel 1995 fino all’ultimo scudetto del 2012, Davide è sempre presente. Gioca tutti i tornei, centinaia di volte il suo cognome è nella lista degli starters. Oggi, ad un passo dalla fine carriera, è il giocatore con il maggiore numero di palmares tra i Bengals.

 

Pier: Complimenti per la tua carriera sportiva. Tra i tantissimi ricordi, quale consideri il più bello?

Davide: Il ricordo più bello è la semifinale del 1995 di Arena football. Sul 40 pari contro i Kings Gallarate e con 4 secondi sul cronometro, ho riportato in end zone un intercetto dalla mia goal line, correndo a slalom tra gli avversari. Il video è anche su youtube. Grazie al mio TD, vincemmo la semifinale. Arrivammo quindi in finale contro i Green Wave Corbetta e vincemmo il primo titolo.

P: Tra te e il giocatore più giovane della rosa odierna dei Bengals ci sono quasi 20 anni di differenza. Ti chiamano il Veterano, The Legend, L’uomo di acciaio. Ti senti un modello per gli altri?

D: Io non mi considero un modello, perché non sono un super-atleta, palestrato, maniaco di football, etc. A volte non riesco ad allenarmi in palestra o devo saltare i training sul campo. Però quando gioco, ci metto il cuore e l’animo, ci do dentro fino in fondo e fino alla fine. Faccio da mordente e così trasmetto ai compagni un senso di sicurezza, di agonismo, di voglia di vincere.  The Legend è il soprannome che mi hanno dato 10 anni fa, quando la dirigenza mi aveva premiato con una targa di fine carriera. Ma poi ci ho ripensato e sono tornato in squadra. La targa è rimasta in bacheca, invece il soprannome lo porto con me. E ne sono fiero.

 

P: Cosa ne pensi del football e dei giocatori di oggi? Noti cambiamenti rispetto gli anni in cui hai iniziato?

D: In 20 anni di football ho visto moltissimi cambiamenti; sono cambiati gli schemi, la mentalità, il modo di allenarsi… E sono cambiati anche i giocatori.  Quando ero un giovane giocatore, era normale arrivare agli allenamenti anche un’ora prima e si dedicava molto tempo al football.  Oggi non è più così. Poco tempo viene dedicato al football. Lo vedo anche con i Bengals Brescia: a volte negli allenamenti non raggiungiamo il numero minimo per fare uno scrimmage. E purtroppo vedo poca convinzione nei giovani, poca disponibilità a fare sacrifici. Questa è una cosa che dicono in molti: oggi i giovani hanno tutto e subito, non sono disponibili a fare sacrifici. E ciò si riversa anche nel football, che è uno sport che richiede sacrifici.

P: Prima o poi dovrai smettere di giocare a football. Puoi immaginare un futuro senza il football?

D: Sinceramente, non riesco a stare senza football. Per me è importante. Il football mi ha dato tanto in termini di gratificazioni, orgoglio, crescita personale…. ed io gli ho dato tutto me stesso. Per molti anni il football è stato la mia priorità. Però poi con il passare del tempo arrivano altre priorità, quali la famiglia, il lavoro, i genitori. E cambia l’ordine di importanza delle cose. La mia famiglia è la priorità oggi e lo sarà anche domani. Quando mi ritirerò, vorrei restare ancora nel football e con i Bengals… senza togliere tempo alla famiglia, sia chiaro.

P: Se dovessi parlare con qualcuno per convincerlo a giocare a football, cosa diresti?

D: Impegno e divertimento. Il football è tutto qui. Impegno, tanto impegno. Il football è uno sport che richiede molti sacrifici e pertanto non è indicato a tutti. Essere un giocatore di football è qualcosa che rende le persone diverse dalle altre. Mi spiego: motivazione, determinazione, passione, orgoglio, fierezza, tenacia, sono valori che solo il football riesce ad insegnare nella loro forma massima. Sono valori che ognuno ha nascosti in sé, ma il football li tira fuori. Comunque questo sport è anche divertimento: è bello giocare a football, ritrovare gli amici prima degli allenamenti, uscire con loro per una birra… stringerci felici e stanchissimi dopo aver vinto una partita.

P: A te cosa piace del football?

D: Sul campo, mi piace il silenzio prima dello snap, vedere il fuoco negli occhi dei compagni, la carica del prepartita. Fuori dal campo mi piace pensarmi come un piccolo ingranaggio meccanico che fa parte di una costruzione più grande. Nella squadra io ritrovo un senso di appartenenza, di identità collettiva.

P: Ho trovato la fotografia di copertina negli archivi dei Bengals. Che ne pensi?

D: La foto è del maggio 2015, era il turno di wild-card contro i Muli Trieste. Questa foto mi rispecchia, mi riconosco: è una bella immagine di me e della mia passione per il football.

 

Orgoglio, passione, determinazione, impegno sono stati gli aggettivi più ricorrenti nel corso dell’intervista. Davide ha carisma da vendere, in campo e fuori. Se esistesse l’album degli ambasciatori del football, proporrei Davide come Ambasciatore di questo bellissimo sport.   GO BENGALS!

Bengals di Febbraio: un giovane coach

Febbraio è un mese importante per il football italiano perché è il mese di lancio della nuova stagione. E’ un mese corto per calendario ma è frenetico per le società di football. E’ il periodo in cui le società lavorano per preparare il campionato, intervenire sul mercato, trovare gli sponsor, rinnovare o confermare lo staff, disbrigare le numerose pratiche burocratiche (assicurazioni, tabulati, protocolli, visite mediche, etc, etc.), preparare il merchandising, contattare i mass-media.

Febbraio è il mese in cui i giocatori fanno sul serio: gli allenamenti si fanno più intensi e pesanti. Per due-tre sere alla settimana i giocatori sfidano la rigidità del clima per allenarsi insieme, per rafforzare i legami, per condividere sacrifici e sudore. Sanno infatti che il sudore di oggi è la moneta per la vittoria di domani.

Febbraio è il mese in cui i coach vivono con e per il football. Lavorano per la squadra tutto il giorno, tutti i giorni. Le loro attività sono innumerevoli: aiutano i nuovi arrivati ad amalgamarsi con il gruppo, preparano le tabelle di allenamento personale per chi deve prendere o perdere peso, preparano il playbook e curano l’installment (l’apprendimento degli schemi di gioco da parte della squadra). Ma soprattutto i coach sono chiamati a valutare i giocatori e le loro caratteristiche, cercando di trovare un equilibrio tra schemi e giocatori, tra playbook e talento. E ogni anno c’è il solito dilemma: adattare il playbook ai giocatori o adattare i giocatori al playbook?

 

Data l’importanza del coach in questo periodo, il Bengals del mese è dedicato a Luiz Eduardo Ruvalcaba Nava, semplicemente “Luiz”, che è l’Offensive Coach per la stagione 2017. Alcuni di voi conoscono già questo giovane allenatore dai modi gentili ma fermi; alcuni di voi lo hanno già visto all’opera nei Bengals di qualche anno fa e ne apprezzano la dedizione al football. Ascoltiamolo.

Pier: Benvenuto coach, iniziamo dalla tua passione per il football.

Luiz: Il football è uno sport molto popolare in Mexico, il mio paese natale. Nella mia famiglia si viveva con e per il football. Mio padre e mio fratello hanno giocato nel massimo campionato messicano – ONEFA – e sono stati loro a trasmettermi questa passione. Anche io ho avuto esperienze come giocatore; per alcuni anni ho giocato nei college messicani come Linebacker e Fullback. In Italia ho giocato nei Lions Bergamo per due anni. Giocando in Messico e in Italia, ho potuto confrontare due realtà molto differenti. In America, il sistema del college ti permette di dedicare allo sport tutto il giorno: si dorme, si mangia, si vive, pensando solo allo sport, al football. Si chiede agli atleti la massima disciplina, impegno, costanza. In Italia la situazione del football è diversa, non dico peggiore, dico solo diversa.

P: Come hai conosciuto i Bengals?

L: Nel 2010 facevo l’Erasmus in Inghilterra e un mio amico – Johnathan Varrera – mi ha invitato in Italia per presentarmi a Virgilio. All’epoca i Bengals cercavano un assistent coach con esperienza di college football. Mi è piaciuto il progetto bresciano così sono rimasto In Italia per l’intera stagione. Quella stagione è stata molto formativa per me e si è chiusa con la finale a L’Aquila. Nel 2011 e 2012 i Bengals mi hanno richiamato per seguire la squadra in qualità di Offensive Coordinator e ho dovuto fare un po’ la spola tra Mexico e Italia, tra la mia famiglia e la mia passione.

P: Che ricordi hai di quella esperienza?

L: Ce ne sono tanti … ma quello più bello è la vittoria in finale contro i Blacks di Torino nel 2012 a casa loro!

P: Che tipo di coach è Luiz?

L: Per me è fondamentale il lato umano del coaching. Penso che un buon coach è colui che allena i giocatori e valuta le persone; un atleta è prima di tutto una persona ed il coach deve capire anche il lato umano-emozionale degli uomini. Allenare una squadra significa fare un investimento importante in termini di risorse mentali, fisiche, economiche: ci sono gli allenamenti da seguire, parlare con i giocatori, preparare le partite, studiare i video, fare il lavoro post partita e tanto altro.  La riconoscenza, la solidarietà, il rispetto da parte dei giocatori sono gli elementi che ripagano il duro lavoro del coach.

P: Che tipo di squadra vedremo quest’anno? Ci dai qualche anticipazione sul lavoro che state svolgendo?

L: Faccio una premessa: il 2016 è stato un anno difficilissimo per i Bengals perché alcuni eventi negativi ci hanno colpito: Virgilio, Stefano, il padre di un giocatore… Siamo stati colpiti come società, come squadra e come esseri umani. Ma dobbiamo reagire!  Pertanto stiamo lavorando con i giocatori per fare “pride restoration” ossia ricostruire l’identità, rafforzare l’orgoglio di indossare questa maglia. Nel 2012 siamo stati campioni, dobbiamo tornare ad esserlo! Quindi per rispondere alla domanda, vedrete una squadra unita, con una forte identità, motivata a vincere, che lotta fino alla fine. E soprattutto che si diverte mentre giocare a football!

P: La Fidaf ha pubblicato i gironi e il calendario. Commenti sui nostri avversari?

L: Non mi piace parlare degli avversari. Di sicuro gli avversari faranno di tutto per renderci la vita difficile. Non do molto peso ai piazzamenti passati, la storia, i millesimi, etc… Secondo me ogni anno si parte da zero, c’è tutto da rifare. Le vittorie passate non rendono più facili le partite future. Ogni settimana dobbiamo lavorare più di quella precedente, ogni partita va preparata benissimo perché non esistono partite facili o difficili. Ogni partita che giocheremo sarà quella più difficile. E i giocatori devono essere focalizzati sul proprio lavoro e sugli obiettivi.

P: Entrando in argomento, quali sono gli obiettivi della stagione?

L: Insieme alla società abbiamo stabilito vari obiettivi: far crescere il gruppo e valorizzare le persone; arrivare ai playoff e soprattutto ottenere 4 vittorie in casa! A casa nostra non ci deve fottere nessuno! Chi viene in casa Bengals, deve pagare un prezzo: quello della sconfitta.

Con queste parole “forti” finisce la chiacchierata con Luiz. Invito i tifosi a seguire i Bengals in casa e in trasferta e sostenere i ragazzi per l’intera stagione. Sarà il nostro tifo a ripagare il sudore, le fatiche, l’impegno dei coach e dei giocatori. E ricordate: Febbraio è il mese in cui si fa sul serio.  GO BENGALS!

Bengals di Gennaio: Lo scorer

Se è vero che ogni attività umana può essere misurata ed espressa con un valore, il football americano è lo sport che consacra a Sommo Sistema i numeri e la loro interpretazione tramite le statistiche.   E’ risaputo che le stats sono importanti per questo sport e molta attenzione viene dedicata alla loro raccolta, analisi e studio. Ne esistono di ogni tipo: per giocatore, per tipo di squadra, per azione, per chiamata in huddle o sulla linea, per formazione, per down & distance, per uso del tempo, etc.

Le stats servono a tutti: i giocatori le utilizzano per capire l’efficacia e l’efficienza delle proprie azioni, per correggere gli errori e migliorare le proprie prestazioni. I coach le studiano per vedere come e dove intervenire, quali giocate funzionano e quali no, trovare margini di miglioramento. In vista delle partite, molti coach studiano le stats della squadra avversaria per capire se è squadra che corre o che lancia la palla, quale è il WR preferito dal QB, chi fa più tackle, da dove i blitz, etc.

I coach più raffinati, in genere quelli americani, utilizzano le stats per capire anche le tendenze degli avversari e di conseguenza prendere le contromisure appropriate. Ecco un esempio di stats per tendenza. Miami vs Denver: Miami si presenta con una formazione d’attacco del tipo 2-1 personnel ( 2 RB, 1 TE, 2 WR ) sul 3°down e 2 yard da guadagnare;  le precedenti stats dicono che con questa formazione Miami corre la palla il 90% delle volte. Se voi foste il defensive coach di Denver, avreste dubbi su cosa farà l’attacco di Miami? Come mettereste la difesa?

 

Dopo avere accennato all’importanza delle stats, è ora di parlare di un’attività senza la quale non ci sarebbero stats: la raccolta delle informazioni che provengono dal campo. Chi le fa? Come? Quando?

Il Bengals di Gennaio è dedicato allo scorer ufficiale dei Bengals Brescia. Se siete tifosi e venite alle partite, avrete visto di sicuro una persona a bordo campo che confabula con arbitri, staff e coaches; lo avrete visto scrivere, leggere, sfogliare rosters e documenti. Ebbene, quella persona, anzi, quell’omone con cappello blu calato sempre in testa, è Renato Manfredi. Una vita dentro il football senza mai averci giocato.

Pier: Ciao, raccontaci come sei arrivato ai Bengals e di cosa ti occupi.

Renato: Ciao, sono un appassionato di football americano e lo seguo da molto tempo pur non avendo mai giocato. Ho scoperto il football guardando le partite che trasmettevano in Tv negli anni ’90. Ai Bengals Brescia sono arrivato nel 2010, mi sono fatto coinvolgere da un amico…Siccome l’ambiente e le persone mi sono piaciute, ho condiviso questa passione con la famiglia e nel 2011 anche mio figlio Luca è entrato nei Bengals Brescia. Lui come giocatore, io come addetto alla catena.

P: Parlaci delle tappe che hai percorso.

R: Su richiesta dell’amico Virgilio, ho iniziato a collaborare con i Bengals occupandomi dell’allestimento del campo pre-partita e poi gestendo il display o la catena.  In genere preferivo fare l’addetto alla catena. Da allora ad oggi il lavoro non è cambiato, è un lavoro fisico: si cammina, o meglio si corre, lungo la sideline seguendo lo spot dell’ovale e si dispone la catena in base all’indicazione dell’arbitro. A così breve distanza dai giocatori si vedono molte cose, anche quei dettagli che dalle tribune restano inosservati! Diciamo che la visuale del gioco ripaga la fatica!  Il passo successivo è stato quello di diventare arbitro; pertanto ho seguito il corso FIF a Milano e per molti mesi ho trascorso i weekend alternando i corsi in aula e la pratica sui campi. Come arbitro sono stato Side Judge e Back Judge. Ho indossato la maglia a righe bianconere fino al 2014, poi ho deciso di rallentare i ritmi; ad esempio in alcuni weekend dove ho dovuto arbitrare 3 partite! Ciò mi prendeva molto tempo, forse troppo…non ero mai a casa nei weekend e la famiglia aveva bisogno di me.

P: Come hai conciliato la famiglia con la passione per il football dei Bengals?

R: Sono diventato addetto alle statistiche! La dirigenza ha valutato la necessità che la società avesse un proprio scorer ufficiale, ossia una persona che si occupasse di rilevare le stats sul campo (in casa e in trasferta), inserire i dati nel programma informatico e gestire i rapporti con il Direttivo statistico della Federazione. Siccome avevo esperienza del gioco ed esperienza in sideline, è sembrato logico che questa responsabilità mi fosse affidata. Oggi, in qualità di scorer posso vivere l’ambiente dei Bengals e del football senza togliere tempo alla famiglia.

P: Entriamo nei dettagli dell’attività di addetto Stats.

R: L’attività è di registrare nel dettaglio tutto ciò che accade in campo prima, durante e dopo la partita; viene rilevato tutto: il meteo, vento, orario di inizio e fine dell’incontro, presenza di pubblico, eventi particolari, i dettagli dei drive e downs, marcatori, falli, etc, etc. Tecnicamente gli addetti alle statistiche si distinguono in: announcer ossia colui che dichiara cosa vede in campo; scorer ossia colui che segna sul registro le azioni e rileva le statistiche. La buona collaborazione tra i due è fondamentale. Di norma, sui campi di gioco si vede un team di due persone, ma a volte è possibile vederne tre: in quel caso uno è l’announcer della squadra ospite, l’altro è l’announcer della squadra ospitante, il terzo è lo scorer.  Spesso la crew arbitrale collabora con il team stats per definire azioni di gioco caotiche o per correggere imprecisioni, dare indicazioni, etc. Anche con gli arbitri la collaborazione è importante. Al termine dell’incontro, gli scorer inseriscono su un programma informatico tutti i dati registrati, in modo da creare le statistiche ufficiali dell’incontro.

P: Quali sono le qualità di un addetto alle statistiche?

R: Senso della precisione, cura del dettaglio, costanza… aggiungerei anche buon senso e pazienza! La pazienza è necessaria quando la sera devo inserire tutti i dati nel programma informatico di rilevazione statistica; oltre ad essere un lavoro impegnativo, il programma lavora in ambiente DOS e chiede il salvataggio dei dati per ogni azione. E’ macchinoso! Ci impiego quasi tre ore per inserire tutto. Questo programma lo passa la Federazione a tutte le squadre e purtroppo non penso che verrà cambiato con uno più veloce.

P: Molti dicono che la posizione così vicina ai giocatori vi permetta di avere uno spettacolo in prima poltrona. E’ vero?

R: Magari! Non è vero. Purtroppo quando si fanno le stats non c’è tempo per guardare la partita, per gustarsi le giocate. Sembra un paradosso, ma è così. La raccolta dei dati è istantanea e incessante, bisogna seguire il gioco molto attentamente. Non c’è tempo per gioire per un TD. Almeno io vorrei gioire, ma non posso! Infatti l’imparzialità è fondamentale per gli scorer!  Inoltre, il team stats dialoga con la crew arbitrale per avere info sul tempo, spot della palla, downs, etc, etc…  Insomma c’è molto lavoro!

P: Raccontaci qualcosa di particolare, un fatto curioso che hai assistito come addetto Stats:

R: Ne ricordo uno in particolare: nel momento di fare punt, il punter aveva perso tempo ed era stato placcato. Gli arbitri non erano d’accordo che tipo di fallo chiamare, noi Stats non sapevamo se si trattava di un’azione rushing the punter o passing the punter. A complicare il tutto, il sistema informatico non ammetteva questa chiamata!

P: Consigli a chi vuole diventare addetto Stats.

R: E’ un bel lavoro ed è per tutti!  Non è necessario essere stato un giocatore. Io non ho mai giocato ma sono diventato scorer. Consiglio di seguire bene il corso Fidaf e poi fare pratica durante le partite, senza avere paura di fare domande. Le prime volte si viene affiancati da uno scorer senior. Personalmente aggiungo che fare l’addetto alle stats è un atto di servizio per la squadra e la società. L’umiltà è necessaria perché il nostro lavoro non ci garantisce visibilità, eppure è fondamentale per la squadra. Noi scorer siamo a servizio della squadra, questo non lo dimentichiamo mai.

P: Per concludere: personalmente chi è Renato? Che passioni ha?

R: Sono un fan dei Ravens, ma il mio giocatore preferito è Michael Oher dei Carolina Panthers. Altre passioni al di fuori del football sono i viaggi in camper, infatti sono camperista da oltre 20 anni; mi piace la sensazione di libertà e comodità che il camper offre. Inoltre sono membro di una squadra di rievocazione storico-militare, ambientazione Medievale, epoca Duecento. Con questa squadra partecipo a tornei e manifestazioni di rievocazione. Ecco, questo è il mio modo di trascorrere il tempo libero: football, camper e storia!

 

Nota personale: Oher è il giocatore preferito da Renato. Mi sono informato: è un offensive tackle sinistro dei Carolina Panthers. E’ uno di quegli uomini enormi che stanno in trincea per tutta la partita, fanno un gran lavoro, non segnano TD e non hanno visibilità. Lavorano per la squadra, sono al suo servizio. Come gli addetti alle Stats. Direi che se Renato fosse un giocatore, sarebbe Oher: zero visibilità, molto lavoro, servizio alla squadra. 

Bengals di Dicembre: Le fisio

La prima fisioterapista è Elena Zanini si è laureata in Fisioterapia all’Università di Brescia; da oltre 10 anni svolge la professione di fisioterapista; il suo percorso professionale è un pò particolare.

Pier: Raccontaci come sei diventata “fisio”, il percorso che hai fatto.

Elena: Mi sono diplomata all’ITIS come perito informatico e dopo il diploma per qualche anno ho lavorato come informatico, impiegata, etc... Con il passare del tempo mi sono stancata di ciò che facevo; mi mancava il contatto con le persone, l’interagire… così mi sono chiesta cosa volessi “fare da grande” e la risposta è arrivata dall’ambiente sportivo. Mio fratello è stato giocatore di basket, mi parlava di sport, prevenzione, salute… perciò ho deciso di iscrivermi all’Università. Dopo 3 anni ho conseguito il diploma

e successivamente ho fatto il corso di specializzazione in Manipolazione, Massaggio e trattamento fisioterapico a Coverciano.

P: Come sei arrivata ai Bengals?

E: Un mio collega mi ha presentato Francesca, la fisioterapista “storica” dei Bengals. Lei mi ha introdotto nell’ambiente. All’epoca la squadra era composta da 50 giocatori e tutti con esigenze e problemi diversi!  L’inizio è stato tosto. Ero fresca di diploma, un po’ intimorita, avevo poco esperienza....

P: Come hai conquistato la fiducia dei giocatori?

E: Fiducia, hai detto bene! Il mio ingresso è stato fatto in punta di piedi, mi sono messa a studiare il football, le patologie e traumi più ricorrenti, come intervenire, etc… Francesca mi ha aiutato.  Ho capito che il punto da cui partire era creare un legame con la squadra. La squadra è il bene comune, il motivo per cui tutti lavorano. E quindi ho capito che non dovevo trattare una persona, ma curare una squadra. Piano piano i giocatori hanno apprezzato il mio approccio. Soprattutto hanno capito l’importanza della prevenzione, uno aspetto per me importante.

P: Cosa ti piace del football?

E: L’impegno che si richiede a tutti i giocatori: dare sempre il massimo. Mi piace la coralità del gioco:  il football è un gioco individuale che trova la sua migliore espressione nella squadra. Mi spiego: ogni giocatore è specializzato in un compito;  quando ognuno svolge il proprio allora la squadra avanza. Individuo e gruppo. Inoltre mi piace il legame che si crea tra i giocatori, tra le persone.

P: Il ricordo più bello in questi 10 anni di Bengals?

E: Senza dubbio la vittoria ad Ostia nel 2009/2010. Quella vittoria è sembrata anche mia, almeno per l’impegno che ho dato nell’aiutare i giocatori a recuperare forma fisica. Ricordo di interventi fisioterapici fatti in condizioni assurde: massaggi all’aperto con 5 gradi di temperatura, oppure per terra con solo uno stuoino da supporto, tempi e spazi risicati, trattamenti sul pullman durante le trasferte, etc. 

P: Con l’elezione del nuovo direttivo, sei divenuta dirigente. Cosa cambia per te?

E: Mi ha fatto piacere la nomina, spero di fare bene. Da dirigente sono aumentate le responsabilità e le attività: gestione del materiale tecnico e sanitario, gestione medica, assicurazioni, il budget… e tante altre! L’ingresso di Veronica nello staff medico è stata una mia decisione. Nel mio lavoro c’è un patrimonio intangibile fatto di know-how, relazioni, sapere, rapporti di fiducia, etc che è fondamentale portare avanti. Ho trovato in Veronica la persona che cercavo per condividere tutto ciò.  L’ingresso di Veronica in pianta stabile è stato fatto in un’ottica di continuità tra me e lei.

P: Se avessi un budget importante come lo spenderesti?

E: Farei una piccola palestra da fisioterapia, comprerei degli strumenti, un altro apparecchio di magnetoterapia. Cose così.

P: Due parole per concludere...

E: L’ingresso in una squadra di football è come l’ingresso in una famiglia e i Bengals sono un po’ la mia famiglia. Però penso anche al futuro… quando avrà una mia famiglia, quando sarò madre, non credo che continuerò a fare la fisioterapista… Però sono sicura che avrò sempre il mio posto in tribuna!

 

L’altra fisioterapista è Veronica Zanetti, si è laureata in Fisioterapia nel 2014. Nel (poco) tempo libero segue la danza classica e moderna, ama la musica, lo sport e stare in compagnia.  Il lavoro principale lo svolge in una struttura dove sono ricoverati pazienti con malattie degenerative o neurologiche. Per il momento non ha ancora scelto in che ambito specializzarsi, ma c’è tempo per farlo; adesso conta di più fare esperienza e crescere professionalmente.

Pier: Innanzitutto complimenti per il tuo lavoro. Immagino che richiede un impegno psicologico e fisico non indifferente. Cosa ti piace, cosa ti motiva?

Veronica: E’ un lavoro impegnativo, ma anche gratificante sul piano umano. Mi spiego. La riabilitazione è un lavoro diretto, perché il fisioterapista è in  prima linea con la sofferenza di chi ha avuto un incidente o una malattia. La riabilitazione è una sfida perché ogni caso è diverso dagli altri ed ogni caso quindi richiede diverse conoscenze di medicina e fisioterapia. Il rapporto che si crea con il paziente è molto profondo ed impatta sul paziente stesso perché lo aiuta a migliorare la qualità della vita, a stare attento a se stesso, a come si nutre, ad ascoltare il proprio corpo.

P: Come sei arrivata nei Bengals Brescia?

V: E’ stato il caso o forse il destino! Tramite il passaparola ho saputo che i Bengals cercavano una fisioterapista e mi sono presentata. La mia tutor è stata Elena, con la quale si è creato un rapporto umano e professionale intenso. Nei primi mesi mi ha dato una impostazione professionale molto concreta. Sebbene io avessi una esperienza professionale di base, Elena mi ha aiutata a colmare alcune lacune e trasformare le mie conoscenze teoriche in attività pratica, nell’intervento vero.

P: Ricordi il primo impatto con la realtà del football? Raccontaci qualcosa.

V: Il mio ingresso nella società è stato fatto dalla porta posteriore, c’erano già due fisioterapiste, Elena e un’altra persona. Mi domandavo se avrei mai avuto uno spazio.  Beh, lo ho avuto subito! Ho fatto esordio in campo “col botto”, come di dice. Durante la prima partita in cui seguivo la squadra, un giocatore era stato placcato duramente, aveva subito un forte trauma ed era svenuto. Sono corsa in campo, sono intervenuta immediatamente. Forse non ho nemmeno atteso che l’arbitro mi autorizzasse ad entrare! Comunque sia, dopo essere usciti dal campo ho aiutato il ragazzo, mi sono presa cura di lui;  per il resto della partita gli sono stata accanto. La mia professionalità ha trasmesso al giocatore un senso di sicurezza, tranquillità. Era in buone mani, poteva fidarsi. Al termine della partita gli altri giocatori hanno molto apprezzato il mio lavoro. Ecco questo è stato il mio esordio nei Bengals!

P: Hai accennato agli aspetti psicologici del tuo lavoro, dicci di più.

V: Il rapporto psicologico è fondamentale, proprio perché il mio lavoro ha un impatto fisico e psicologico sulla persona. Si deve creare un rapporto di fiducia tra me e i giocatori e per questo motivo tutti hanno il mio numero di telefono e mi possono chiamare per avere indicazioni o “prenotare” una seduta. Non voglio creare filtri, barriere, etc, non aiuterebbe me e nemmeno loro. Di ogni giocatore conosco le patologie alle quali sono più soggetti, che tipo di bendaggio preferiscono, etc. Soprattutto per ognuno di loro devo capire di volta in volta la gravità del trauma in relazione alla loro soglia del dolore.

P: Due parole sul tuo rapporto con i giocatori.

V: Nel giro di un anno e mezzo si è creato un buon rapporto con la squadra U 19. Io seguo i ragazzi più giovani e crescerò con loro. Il rapporto è un mix tra il distacco professionale (perché lo richiede la mia figura) e la vicinanza amicale ai ragazzi.  C’è il momento dello svago, della battuta. E c’è anche il momento del lavoro.

P: Obiettivi futuri?

V: Continuare il mio lavoro di fisioterapista. Il lavoro mi piace, è il mio. E sto sviluppando un mio approccio alla fisioterapia: ritengo molto importante la prevenzione, educazione alla salute, il miglioramento della qualità di vita.  Oltre al lavoro in struttura e con i Bengals, sto seguendo corsi di aggiornamento per accrescere le mie competenze professionali. Spero un giorno di poter trasferire sulla squadra dei Bengals quanto sto imparando fuori!

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